LE MAROCCHINATE

Cenni storici

Marocchinate”: con questo termine si sono tramandati gli stupri di gruppo, le uccisioni, i saccheggi e le violenze di ogni genere perpetrate dalle truppe coloniali francesi (Cef), aggregate agli Alleati, ai danni della popolazione italiana e dei prigionieri di guerra.

La storiografia tradizionale, le poche volte che ne ha trattato, ha circoscritto questi orrori a qualche centinaio di episodi verificatisi nell’arco di un paio giorni nella zona del frusinate. Le proporzioni, tra numeri e gravità dei fatti, furono di gran lunga superiori.


Gli Alleati risalendo l'Italia si impantanarono a Cassino, sulla Linea Gustav, dove i tedeschi opponevano una tenacissima resistenza. In quelle zone, solo le sue truppe marocchine di montagna avrebbero potuto farcela.

Alla ritirata dei nazifascisti, vari paesi della Ciociaria vennero occupati dai franco-coloniali del Cef, i goumiers, ai quali il generale francese Juin promise come premio per la vittoria la piena libertà di impossessarsi di qualsiasi cosa avessero trovato al di là del nemico. Questo fu l’inizio di un assurdo calvario. Migliaia di donne furono violentate e uccise, e lo stesso capitò agli uomini che tentavano di difenderle, altrettante furono contagiate da sifilide, blenorragia e altre malattie veneree, così come quelle ingravidate: il solo orfanotrofio di Veroli, accoglieva, dopo la guerra, circa 400 bambini nati da quelle unioni forzose. Molte delle donne “marocchinate” furono poi scansate dalla comunità, a causa dei pregiudizi di allora, ripudiate dalle famiglie e, a centinaia, finirono suicide o relegate ai margini della società. Una scia di sofferenze fisiche e psicologiche, quindi, che si trascinò per decenni.

Maria Maddalena Rossi

Il 7 aprile 1952 non è un giorno qualunque della storia italiana e neanche della storia mondiale, visto che il discorso tenuto dalla deputata del PCI Maria Maddalena Rossi si riferiva a ciò che era avvenuto nella Seconda guerra mondiale ai danni di vittime civili. La deputata, una delle ventuno “Madri della Repubblica”, visto che aveva fatto parte della Costituente, aveva rivolto, con altri e altre, interpellanze al Ministro ad interim del Tesoro Ezio Vanoni riguardante le cosiddette marocchinate

Se le donne hanno sempre rappresentato un bottino di guerra, grazie alla maschile invenzione dello stupro etnico, per le marocchinate si è aggiunto dell’altro: l’inconsapevolezza. Le vittime degli stupri citate coraggiosamente da Maria Maddalena Rossi cercavano di mettersi in salvo; scappavano da una guerra di cui sapevano poco, tutto sommato, e che meno che meno avevano deciso; speravano di mettere in salvo se stesse e soprattutto le figlie, perché una trasmissione di notizie solo orale parlava di rischi che correvano da parte di uomini di pelle scura che dopo nei ricordi spesso chiamarono diavoli.

La seduta parlamentare richiesta dalla Rossi fu “concessa” alle 21 di sera, perché l’argomento era scabroso e immorale; si chiedeva il perché, a distanza di sette anni dalle violenze subite, le 60mila pratiche di liquidazione della pensione non erano ancora state sbrigate. La deputata non ne voleva sapere della liquidazione una tantum. Ma, al di là delle cifre e del mancato risarcimento le marocchinate e il suo intervento si sono svolte secondo una trama che potrebbe non essere datata: erano le donne a rappresentare un caso di immoralità.

Maria Maddalena Rossi, così come Franca Viola molti anni più tardi, sono donne che seppur su livelli diversi hanno scritto pagine importanti della storia femminile italiana. La società del tempo non riconosceva lo stupro come reato contro la persona e non riconosceva alle donne lo status di vittima, ma oggi è un dovere di tutti conoscere e ricordare uno dei più grandi drammi del 900 avvenuto su suolo italiano.


Il Film

Seconda guerra mondiale. L'indipendente ciociara Cesira (Sophia Loren) fugge da Roma con la figlia Rosetta (Eleonora Brown) per rifugiarsi nella natìa Sant'Eufemia. L'incontro con l'intellettuale Michele (Jean-Paul Belmondo) cambierà la sua prospettiva, ma gli orrori del conflitto sono destinati a lasciare più di un segno.

Vittorio De Sica mette in scena l'omonimo romanzo di Alberto Moravia, sviluppando il tema bellico adattato al punto di vista popolano. La sceneggiatura di Cesare Zavattini punta alla semplicità e alla linearità e tratteggia la fondamentale incomprensione contadina per ogni tipo di cambiamento politico o sociale, concentrando nel personaggio dell'idealista Michele (colui che per primo intuisce cosa sia giusto e cosa sbagliato) tutta la moralità necessaria a un tema scomodo e disturbante. Lo schematismo narrativo e ideologico è evidente, ma la presenza esplosiva della Loren (perfetta in una parte che era stata pensata per l'apparentemente ben più calzante Anna Magnani) riesce a rendere il film quasi epico, con momenti di vita quotidiana funzionali a comprendere il necessario pragmatismo contadino e scene entrate di diritto nell'immaginario collettivo: memorabile la sequenza dello stupro in chiesa, condotta con delicatezza estrema mediante ellissi e doverose omissioni. Meno articolato e complesso rispetto ad altri film del regista, ma eticamente ineccepibile e onesto negli intenti, nonostante la produzione in grande stile. Da antologia il finale, con Cesira e Rosetta che si sciolgono in un abbraccio catartico e commovente. Pupella Maggio è la contadina che nasconde i figli disertori, Raf Vallone è Giovanni. Presentato in concorso al Festival di Cannes, dove la Loren vinse come miglior attrice, ottenendo anche un Oscar, un David di Donatello e un Nastro d'argento.

I Libri 

Le "marocchinate"

Aspettavano i liberatori ma arrivò l'inferno.Dove passarono però le truppe francesi, accaddero cose mai viste in quelle terre: stupri,  rapine, saccheggi, omicidi, evirazioni e torture furono all'ordine del  giorno…Appena sbarcati in Italia i Goumiers fecero subito vedere di che  pasta erano fatti, in Sicilia, infatti, essi cominciarono a razziare e  sequestrare donne del luogo considerandole "bottino di guerra" e le  portarono via come prostitute. Queste violenze non vennero compiute solo  in Sicilia ma prosegui poi nel resto della penisola, concentrandosi  sopratutto nel centro Italia e si arrestò solo nell'ottobre del '44 alle  porte di Firenze, quando il corpo di spedizione francese fu trasferito  in Provenza. Oltre mille omicidi, 60.000 donne stuprate e ben 180.000  violenze carnali.

La memoria scomoda della guerra

Vittime, destinate all'oblio oppure ribelli, sopravvissute condannate al silenzio o resistenti e fiere, sono questi i profili delle "marocchinate" raccolti da Stefania Catallo in brevi e dense interviste che costituiscono il cuore di questo libro. Il vissuto di alcune delle tante donne che subirono le violenze da parte dei goumiers, al seguito del V corpo d'armata francese del Generale Alphonse Juin nel maggio del 1944 in Ciociaria, emerge prepotente in tutta la sua drammatica verità. Il tutto a mostrare come ancora oggi il dolore di quegli accadimenti sia ben persistente nella mente e nelle anime nonostante lo scorrere del tempo e la "ragion di stato". Sul dramma delle "marocchinate" sopravvissute ad una tragedia che ebbe proporzioni immense, si pensa infatti che furono 20.000 le donne violentate dai goumiers soltanto nel basso Lazio, calo' un velo di oscurità già all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale. Un velo spesso che nemmeno l'intervento della deputata Maria Maddalena Rossi, i cui atti parlamentari rappresentano sono posti a mo' di conclusione nelle ultime pagine di questo testo, riuscì a squarciare.

Non solo la "ciociara"

Una vicenda scomoda e terribile della seconda guerra mondiale.  Attraverso documenti e denunce ripercorre le violenze compiute in Italia  nel 1944 soprattutto dalle truppe marocchine inquadrate nel Corpo di  Spedizione Francese. Una violenza doppiamente terribile perché questi  militari che facevano parte degli Alleati erano considerati dei  liberatori e vennero accolti come tali. Per loro, invece, gli italiani  erano dei nemici e quindi i loro beni e le donne erano solo "bottino di  guerra" su cui sfogare gli istinti più bestiali. Donne di tutte le età,  dagli 11 agli 80 anni e in non pochi casi anche uomini e ragazzi  (persino bambini).

Marocchinate, l'altra faccia della liberazione

Marocchinate racconta l’altra faccia della Liberazione, i terribili giorni passati dalle popolazioni del basso Lazio, dopo lo sfondamento da parte degli Alleati della linea di Montecassino, ultimo baluardo tedesco. Apparentemente la guerra era finita e l’Italia era libera, ma non per le popolazioni: «Aspettavamo ji salvatori… so’ arrivati ji diavoli!» Un’altra di quelle storie che se non sei di quelle parti non la conosci, perché la retorica dei vincitori non vi si sofferma mai. Successa in una terra che se non hai parenti o amici, non ci vai.

Siamo in un paese della Ciociaria e Angelino, pastore locale, ci racconta la semplice ma faticosa vita contadina della sua zona prima della guerra. Vita che viene sconvolta con l’arrivo delle truppe Marocchine, aggregate agli Alleati, ai quali viene affidato il compito di entrare nella rocciosa difesa tedesca.

Ottemperano il loro compito e «le truppe di colore» come ricompensa ottengono il «diritto di preda» contro la popolazione civile. 50 Ore di carta bianca, 50 ore in cui fanno razzia di tutto quello che trovano: oro, case, vino, bestie, ma soprattutto donne. Sono migliaia le donne che verranno stuprate e uccise nella primavera del ’44, dai soldati marocchini. Tra queste c’è Silvina la moglie di Angelino, che diventerà anch’essa una «marocchinata».

Lo spettacolo che tocca le corde più profonde dell’anima, rispolverando i gravi fatti della Ciociaria del ’44, per non dimenticare le migliaia di donne vittime di quelle violenze. Con l’obiettivo che le loro parole diventino le nostre parole, diventino la nostra storia.